TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria Il giudice del lavoro dott. Mariarosa Pipponzi, sentite le parti, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18 luglio 2022 ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nel ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile in corso di causa promosso da: B.C. (codice fiscale ...), residente in ... rappresentata, assistita e difesa dall'avv. Luca Iuliano (codice fiscale LNILCU63E28B157N) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Brescia - via Sant'Orsola n. 64, giusta mandato in calce al presente atto (le comunicazioni potranno essere effettuate all'indirizzo di posta elettronica certificataluca.iuliano@brescia.pecavvocati.it); parte ricorrente contro C.d.B. (codice fiscale ...), in persona del sindaco pro tempore, con sede in ... pec protocollogenerale@pec.comune. parte convenuta rilevato che B.C. e' dipendente del C.d.B. - ..., in qualita' di OSA, operatore socioassistenziale - B6 (matricola ...) e svolge la sua attivita' presso il Centro diurno anziani del quartiere di ...; non si e' sottoposta a vaccinazione contro il virus SARS-COV19, ma avendo contratto la malattia ed essendo stata dichiarata guarita in data ... aveva lavorato sino al ... (prot. n. ... trasmessa a mezzo raccomandata a mani - doc. 8), quando le veniva comunicato il provvedimento di sospensione dal lavoro senza retribuzione e senza altro emolumento ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, a seguito del mancato adempimento dell'obbligo vaccinale con decorrenza ... fino al ...; ha contestato il fondamento giuridico della normativa emergenziale sottolineando, inoltre, che gli effetti delle misure restrittive adottate dal governo nel periodo emergenziale cessato in data 31 marzo 2022) non possono protrarsi oltre il periodo di vigenza dello stato di emergenza che, per stessa affermazione del Governo, ha costituito e costituisce il presupposto che ne giustifica la reiterata adozione; ha eccepito l'illegittimita' dell'obbligo vaccinale ed ha sollevato eccezioni di costituzionalita' della normativa emergenziale sotto vari profili rilevando altresi' il contrasto delle vigenti disposizioni con il regolamento U.E. n. 536/2014 e con la Carta fondamentale dell'Unione europea nonche' con la CEDU e la natura discriminatoria della norma che le impedisce di accedere al luogo di lavoro, in quanto non vaccinata; ha lamentato che la mancata previsione dell'obbligo di repȇchage non troverebbe alcuna giustificazione nella finalita' che la stessa norma indica e sarebbe comunque lesiva delle disposizioni di cui all'art. 32 della Costituzione, nonche' degli articoli 2, 11 e 117 della Costituzione essendo evidente il superamento del limite della dignita' umana, ovvero del rispetto della persona umana, cosi' come declinato dalla pertinente giurisprudenza costituzionale, nonche' la violazione del diritto di autodeterminazione che erano vieppiu' rilevanti e intollerabili stante la maggiore durata della vigenza dell'obbligo nonche' l'assenza di alternative in termini di «ricollocazione sicura» in mansioni prive di contatto con l'utenza; in particolare ha denunciato, da un lato, la violazione del suo diritto al lavoro e del diritto ad una esistenza libera e dignitosa conseguente all'impossibilita' di lavorare e di percepire alcun reddito per il proprio sostentamento nonche', dall'altro lato, la ingiustificata natura discriminatoria della norma che impedisce di accedere al luogo di lavoro, in quanto non vaccinata; inoltre ha sostenuto la lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, parimenti violato dalla normativa in esame, dato dalla necessita' di vagliare tutte le possibilita' di ricollocazione del lavoratore, eventualmente divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli, prima di allontanarlo dal lavoro e soprattutto di operare una sua sostituzione con conseguente aumento della spesa pubblica; in relazione alla mancanza di retribuzione ed alla esclusione anche dell'assegno alimentare la ricorrente sostiene: a) che la sospensione dal lavoro con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro ma senza alcun emolumento, prevista dall'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, e' insensata e abnorme poiche', pur non essendo qualificata come sanzione disciplinare, comporta conseguenze straordinariamente piu' gravi delle sanzioni disciplinari, senza alcuna tutela procedimentale o economica. Inoltre: e' sproporzionata e irragionevole rispetto alle sanzioni che l'ordinamento prevede per altri tipi di violazione ben piu' gravi; e' tale da comprimere in modo assoluto e senza alcuna garanzia, ed in assenza di illecito, il diritto alla retribuzione e al sostentamento economico necessario ad assicurare al lavoratore ed al suo nucleo familiare una vita dignitosa; b) la mancata previsione di un assegno alimentare per i lavoratori sospesi ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, risulta discriminatoria e viola l'art. 3 della Costituzione e lede altresi' il diritto ad una esistenza libera e dignitosa (articoli 1, 2, 3, 4, 36 e 97 della Costituzione), conseguente all'impossibilita' di percepire alcun reddito per il sostentamento proprio e dei propri famigliari; B.C. ha concluso chiedendo la reintegrazione sul posto di lavoro (anche in altre mansioni), a prescindere sia dal proprio status vaccinale, con il pagamento della retribuzione previo accertamento dell'illegittimita' della sospensione disposta dal ... convenuto e disapplicando d'ufficio, senza necessita' di investire la Corte costituzionale, l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021, convertito dalla legge n. 76/2021 come modificato dal decreto-legge n. 172/2021. In via di urgenza ha chiesto in via provvisoria la corresponsione della retribuzione per tutto il periodo di sospensione o quantomeno il riconoscimento del diritto a percepire l'assegno alimentare; il C.d.B. si e' costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso evidenziando di essersi attenuto alle vigenti disposizioni di legge e replicando analiticamente alle osservazioni della ricorrente sostenendo che le richieste di parte ricorrente erano contra legem; Osserva Quanto all'ammissibilita' delle questioni di costituzionalita' sollevate in sede cautelare: la Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa in senso favorevole in quanto non risulti esaurita la potestas judicandi, circostanza che non ricorre nel caso di specie, venendo emanata con separato atto contestualmente al presente provvedimento, solo una misura cautelare interinale, la quale e' provvisoria e rimarra' efficace fino alla Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale ed e' quindi da intendersi condizionata agli esiti dello scrutinio di costituzionalita' richiesta (in tal senso Corte costituzionale 9 maggio 2013, n. 83, e Corte costituzionale 30 gennaio 2018, n. 10). Questo giudice ritiene che le questioni di costituzionalita' segnalate dalla difesa della ricorrente siano parzialmente fondate: a) l'art. 4, comma 7, decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, con le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 172/2021 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3, richiamato dall'art. 4-ter, comma 2, del citato decreto, nella parte in cui prevede che l'adibizione a mansioni diverse senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2, e' ammessa solo per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 e' omessa o differita, pone dubbi di compatibilita' con gli articoli 3 e 4 della Costituzione sotto il profilo della disparita' di trattamento, della irragionevolezza e sproporzionalita' e della lesione del diritto al lavoro e pertanto tale questione va rimessa alla Corte costituzionale; b) l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui recita «Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati» pone dubbi di compatibilita' con gli articoli 2 e 3 della Costituzione e pertanto tale questione va rimessa alla Corte costituzionale. Quanto alla rilevanza: la ricorrente e' dipendente del C.d.B. e tempo pieno e indeterminato e, quale operatore socio assistenziale (OSA), lavora presso il Centro diurno anziani del quartiere di ... e quindi e' soggetto tenuto ad adempiere l'obbligo vaccinale; la ricorrente non ha ritenuto di adempiere all'obbligo vaccinale e non ha allegato di versare in una delle ipotesi in cui la vaccinazione puo' essere omessa e differita; la ricorrente e' stata sospesa con provvedimento del ... e la sua sospensione dal servizio e' prevista sino al ...; la ricorrente ha contestato la sospensione ed offerto di rendere la prestazione anche mediante assegnazione di altre mansioni; la ricorrente agisce in via di urgenza anche per ottenere il riconoscimento dell'assegno alimentare previsto in via generale per i pubblici dipendenti dall'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957 che recita «All'impiegato sospeso e' concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia»; Cio' premesso, ritiene questo giudice che: a) la locuzione utilizzata dall'art. 4, comma 7, decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, richiamato dall'art. 4-ter, comma 2 del citato decreto, nella formulazione attuale, non consente di riconoscere alla lavoratrice il diritto ad essere reintegrata ed essendo norma speciale non pare percorribile ne' la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata sulla base degli articoli 3 e 4 della Costituzione, ne' quella della disapplicazione invocata per contrasto con la Carta dei diritti fondamentali della Unione europea. Infatti l'obbligo imposto al giudice remittente di vagliare, prima di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, la percorribilita' di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con i principi costituzionali incontra il limite invalicabile costituito dalla formulazione letterale della disposizione. Modificando la originaria formulazione del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, il legislatore ha esplicitato la chiara volonta' di porre la nuova disciplina in rapporto di discontinuita' con quella precedente e di estromettere percio' tutti i lavoratori inadempienti all'obbligo vaccinale dall'esercizio di tutte le attivita' nell'ambito delle strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992. Sicche' la sopravvenuta modificazione della disciplina legislativa preclude a questo giudicante in assoluto ogni possibilita' di una interpretazione restrittiva in contrasto con la formulazione letterale. Per quanto riguarda, invece, la possibilita' di disapplicazione per contrasto con la Carta dei diritti fondamentale dell'Unione europea, e' sufficiente evidenziare che la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in se' oggetto di una disciplina dell'Unione e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell'ordinamento interno ampio margine di autonomia, come si ricava dalla adozione di misure differenziate tra gli Stati membri in merito alla previsione di vaccinazioni obbligatorie. Secondo la costante giurisprudenza della CGUE i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuor di esse. La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato (da ultimo con sentenza n. 194 del 2018) che le disposizioni della Carta sono applicabili agli Stati membri solo quando questi agiscono nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione (Corte costituzionale sentenze n. 63/2016 e n. 111/2017). Cio' in quanto l'art. 51 della Carta dei diritti fondamentali e' rigoroso nel prevederne l'applicabilita' alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione e agli Stati «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione» (par. 1), e questi soggetti, che rispettano i diritti e osservano i principi, «ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto delle competenze conferite all'Unione nei trattati» (par. 1). Viene ribadito il contenuto dell'art. 6 TUE, affermando che (par. 2) la Carta «non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di la' delle competenze dell'Unione, ne' introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, ne' modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati». In conclusione, la forza espansiva dei diritti fondamentali trova un limite nel principio di attribuzione delle competenze che caratterizza la struttura istituzionale o costituzionale dell'Unione. In tal senso, la forza espansiva dei diritti fondamentali trova dunque un limite nel principio di attribuzione delle competenze che caratterizza la struttura istituzionale o costituzionale dell'Unione, con conseguente impossibilita', nel caso di specie, di ravvisare gli estremi per una diretta applicazione della normativa euro-unitaria ovvero per una corrispondente disapplicazione della normativa interna. Al contempo, occorre osservare che l'esito del presente giudizio risulta dipendere dalla conformita' o meno dell'art. 4, comma 7, decreto-legge n. 44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, alle norme della Carta fondamentale, in quanto il ricorso promosso da B.C. dovrebbe essere accolto - solo - ove tale disposizione venisse ritenuta in contrasto con la Costituzione nella parte in cui il legislatore ha limitato la possibilita' di essere adibiti a «mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», esclusivamente ai soggetti esentati dall'obbligo vaccinale ovvero a coloro che hanno ottenuto il differimento per il periodo di durata dello stesso, mentre non e' stata prevista nei confronti dei dipendenti che si siano deliberatamente astenuti dalla vaccinazione. D'altro canto, la domanda di reintegrazione articolata in relazione al profilo dell'obbligo di repêchage troverebbe nel resto accoglimento, in sede cautelare, in ragione della sussistenza dei presupposti di fumus boni iuris e di periculum in mora. Da un lato, infatti, il datore di lavoro non ha assolto all'onere di dimostrare l'impossibilita' di adibirla a mansioni differenti e atte ad evitare il rischio di diffusione del contagio - pur essendo consolidati i principi di diritto secondo cui «in materia di repêchage non sussiste alcun onere di collaborazione da parte del lavoratore, questo gravando esclusivamente sul datore di lavoro» e secondo cui «l'impossibilita' di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non puo' essere condizionata da finalita' espulsive legate alla persona del lavoratore. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti e' a carico del datore di lavoro, che puo' assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili» (Cassazione, sez. lav., sentenza marzo 2021, n. 6084; ved. altresi', ex multis, Cassazione, sez. VI, ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1386). Dall'altro lato, poi, e' rimasta del tutto incontroversa, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 115 del codice di procedura civile, la circostanza secondo cui la retribuzione erogata dal C.d.B. costituirebbe l'unica fonte di reddito per la ricorrente, cosi' che, nel caso di specie, appare sussistente anche un pregiudizio grave, imminente ed irreparabile in relazione alla perdita della possibilita' per la lavoratrice di far fronte alle esigenze primarie della vita. Alla luce di tutto cio', si deve dunque ritenere che il presente procedimento non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale di seguito illustrata e relativa all'art. 4, comma 7 del decreto-legge n. 44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, per come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 172/2021, convertito dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3. Se l'art. 4, comma 7 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui limita ai soggetti esentati dall'obbligo vaccinale o a coloro che hanno ottenuto il differimento per il periodo di durata dello stesso, la possibilita' di essere adibiti a «mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.» venisse ritenuta non conforme a Costituzione la domanda di reintegrazione della ricorrente potrebbe trovare accoglimento gia' in sede cautelare, stante il rinvio operato dall'art. 4-ter, comma 2, del citato decreto, e da cio' consegue la rilevanza della questione sollevata; b) l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, appare inequivoco nello stabilire che per il periodo di sospensione disposta per il mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale «non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso od emolumento comunque denominato»; la locuzione «ne' altro compenso od emolumento comunque denominato» appare insuscettibile di un interpretazione che consenta di riconoscere alla ricorrente la retribuzione (in assenza di contro prestazione) o l'assegno alimentare che e', appunto, un emolumento erogato in assenza di prestazione lavorativa; l'art. 4-ter, comma 3, del citato decreto e' una disposizione di carattere speciale e di conseguenza non pare percorribile la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata sulla base di parametri invocati dalla parte ricorrente e cioe' gli articoli 2 e 3, 4, 36 e 97 della Costituzione; non pare neppure possibile riconoscere il diritto all'assegno alimentare applicando in via analogica l'art. 82, decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, che riconosce al dipendente sospeso cautelarmente «un'indennita' pari al 50% dello stipendio tabellare, nonche' gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianita', ove spettanti» essendo tali disposizioni specificamente riferite alle sospensioni cautelari derivanti da violazioni aventi rilevanza disciplinare e penale. Solamente ove l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui recita «Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati» venisse ritenuta non conforme a Costituzione la domanda di assegno alimentare potrebbe trovare accoglimento gia' in sede cautelare e da cio' consegue la rilevanza della questione sollevata. Quanto alla non manifesta infondatezza a) al personale delle strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e' stato esteso l'obbligo vaccinale in origine previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e per il personale sanitario testualmente finalizzato «alla tutela della salute pubblica» e per mantenere «adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» ed, a prescindere da ogni considerazione in merito alla sua idoneita' a raggiungere lo scopo (circostanza che la parte ricorrente contesta), non si puo' che rilevare che il pericolo di diffusione del virus, sia uguale in capo a qualsiasi lavoratore non vaccinato indipendentemente dal fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta ad una scelta volontaria oppure ad un accertato pericolo per la sua salute. A parita' di condizione (uguaglianza del pericolo di contagio per gli altri dipendenti, per gli ospiti), non si comprende allora per quale motivo l'obbligo di repêchage debba sussistere solo a favore dei secondi (soggetti esentati o per i quali la vaccinazione e' stata differita) e non anche a favore dei primi. Ne' potrebbe sostenersi che, in siffatti casi, la differenza di trattamento sia giustificata da esigenze aziendali essendo stato previsto il repêchage per gli esentati o differiti senza limitazioni ed essendo stato altrettanto totalmente escluso per gli altri soggetti non vaccinati. Pertanto si dubita che il comma 7 del citato articolo, nell'attuale formulazione, sia contrario agli articoli 3 e 4 della Costituzione nella parte in cui non prevede che l'obbligo di repêchage sussista anche per coloro che scelgono di non vaccinarsi. Cio' in primo luogo per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione e per irragionevolezza in quanto il diverso trattamento previsto per coloro che hanno deciso di non vaccinarsi e coloro che non possono vaccinarsi (in quanto esenti o differiti) non appare sostenuto da alcuna giustificazione. Inoltre, nel precludere al personale non vaccinato per libera scelta la possibilita' di lavorare - anziche' applicare altre soluzioni quali, solo per fare degli esempi, il controllo tramite test di rilevazione del virus e l'assegnazione a mansioni diverse, ove possibili - lo Stato viene meno al compito di rendere effettivo il diritto al lavoro (ex art. 4 della Costituzione) ed introduce una misura che si espone al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, ad eccessivo detrimento del valore della dignita' umana stante la compressione assoluta del diritto al lavoro destinata a permanere sino al 31 dicembre 2022, anche oltre il termine dello stato di emergenza e solo per alcuni lavoratori. Ne' la temporaneita' della misura interdittiva adottata dal legislatore e' idonea di per se' a giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti atteso che la stessa e' in grado di produrre effetti gravemente pregiudizievoli per siffatta categoria di lavoratori, privati di ogni possibilita' di svolgere attivita' lavorativa, vieppiu' alla luce della disposta proroga. Si rammenta infatti che secondo quanto disposto dall'art. 60, decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957 «L'impiegato non puo' esercitare il commercio, l'industria, ne' alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in societa' costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in societa' o enti per le quali la nomina e' riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente» A cio' si aggiunga che l'originaria formulazione della norma prevedeva la possibilita' di attribuire al dipendente non vaccinato, seppure solo ove possibile, mansioni diverse. Quanto alla compatibilita' dell'intervenuta modifica che ha escluso tale possibilita', con il principio della ragionevolezza, corollario del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma secondo dalla Costituzione, si dubita altresi' della razionalita' dell'estensione del divieto di svolgere qualsiasi attivita' lavorativa - incluse quelle che non comportano alcun rischio di diffusione del contagio da SARS COV-2 - in relazione ai fini primari della tutela della salute pubblica e del mantenimento «di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Questo giudice non dubita che il legislatore nella sua discrezionalita' possa aggravare gli effetti dell'accertamento della violazione di un obbligo, ma deve comunque individuare degli specifici presupposti che siano idonei a giustificare detto aggravamento. Tali presupposti non risultano individuati atteso che rispetto alla disciplina previgente - che peraltro era rivolta esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie ed agli operatori sanitari e non a tutto il personale delle strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 - lo scopo primario che la norma intende perseguire ossia quello della tutela della salute pubblica in una situazione emergenziale epidemiologia mediate la garanzia dell'accesso alle prestazioni di cura in genere in condizioni di sicurezza e' rimasto sostanzialmente immutato. Cosi' come sono immutate le esigenze connesse alla tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro. Tale modifica con la quale si sospende dal lavoro e dall'intera retribuzione il lavoratore che non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, appare quindi del tutto irragionevole e certamente sproporzionata allo scopo che la normativa si prefigge; b) la ricorrente agisce anche per ottenere il riconoscimento dell'assegno alimentare previsto in via generale per i pubblici dipendenti dall'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957 che recita «All'impiegato sospeso e' concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia»; l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, sul punto appare inequivoco nello stabilire che per il periodo di sospensione disposta per il mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale «non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso od emolumento comunque denominato»; l'assegno alimentare (un emolumento erogato in assenza di prestazione lavorativa) ha natura pacificamente assistenziale (cfr. Consiglio di Stato sez. III - 15 giugno 2015, n. 2939 Tar Lombardia - sez. I Milano, 16 maggio 2002, n. 2070) essendo generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari ed e' stata considerata dalla Corte costituzionale misura ragionevole per sopperire alle esigenze alimentari del lavoratore sospeso nei casi in cui venga a mancare la corrispettivita' fra le prestazioni delle parti. Nella ordinanza n. 258/1988 si afferma: «appare ragionevole l'attribuzione all'impiegato sospeso cautelarmene di un assegno alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio tenuto conio della sospensione dalla prestazione lavorativa disposta cautelarmente nell'interesse pubblico» e considerando che «il precetto costituzionale posto dall'art. 36 della Costituzione, ha riferimento alla tutela del lavoro e non anche alle particolari situazioni nelle quali venga a mancare l'applicazione del principio di corrispettivita' fra le prestazioni delle parti»; l'art. 2 della Costituzione nel prevedere una particolare tutela dell'individuo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita' (tra cui rientrano i luoghi di lavoro) non sembra permettere l'adozione di misure che possano arrivare sino al punto di ledere la dignita' della persona come puo' avvenire quando alla persona sia preclusa ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita (cfr. Corte costituzionale 20 luglio 2021, n. 137). Come noto il diritto al lavoro costituisce una delle principali prerogative dell'individuo su cui si radica l'ordinamento italiano che trova protezione nell'ambito dei principio fondamentali della Carta costituzionale e che viene tutelata non solo in quanto strumento attraverso cui ciascuno puo' sviluppare la propria personalita' potendo cosi' concorre al progresso materiale e spirituale della societa', ma innanzitutto in quanto costituisce il mezzo per assicurare alla persona ed al rispettivo nucleo famigliare attraverso la giusta retribuzione il diritto fondamentale di vivere un esistenza libera e dignitosa. E' questo che si verifica nel caso in esame per tutto il personale delle strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, che non abbia ritenuto di vaccinarsi essendo stata loro sottratta ogni possibilita' di esercitare la propria attivita' lavorativa costituendo la vaccinazione «requisito essenziale per lo svolgimento delle attivita' lavorative dei soggetti obbligati» (ex art. 4-ter, comma 2 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76) e non potendo accedere a quegli istituti che tutelano i lavoratori in caso di perdita dell'occupazione quali l'indennita' di disoccupazione (conservando il posto di lavoro) essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai dipendenti pubblici a tempo indeterminato, ne' possono fruire, in quanto in eta' lavorativa, di quelle provvidenze che presuppongono una determinata anzianita' anagrafica. In tal modo siffatti lavoratori perdono ogni possibilita' di far fronte alle esigenze basilari della vita non potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporalmente rilevante (ad oggi e, solo per loro, prorogato fino al 31 dicembre 2022). Ne' tale lesione appare giustificata dalla finalita' denunciata «prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'art. 3-ter, decreto-legge n. 44/2021» nell'ambito di una situazione emergenziale, in quanto le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato (via via irrigidite a seguito delle modifiche apportate dall'originaria formulazione) appaiono eccessivamente sproporzionate e sbilanciate nell'ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti tra cui la dignita' della persona umana; la disposizione in esame si pone in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione in quanto, a fronte di una condotta non integrante illecito ne' disciplinare ne' penale e che riguarda una fattispecie introdotta in una fase emergenziale ed in un contesto del tutto eccezionale, nega a siffatto personale persino la corresponsione di quelle indennita' come l'assegno alimentare generalmente riconosciute dall'ordinamento per sopperire alle esigenze alimentari del lavoratore sospeso anche laddove quest'ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravita' posto che cio' genera una irragionevole disparita' di trattamento nei confronti dei soggetti che hanno posto in essere condotte che, proprio per previsione legislativa, sono esenti da alcun tipo di rilievo.