TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
            lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria 
 
    Il giudice del lavoro dott. Mariarosa Pipponzi, sentite le parti,
a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18  luglio  2022
ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale nel ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile
in corso di causa promosso da: 
        B.C. (codice fiscale ...), residente  in  ...  rappresentata,
assistita  e  difesa   dall'avv.   Luca   Iuliano   (codice   fiscale
LNILCU63E28B157N) ed elettivamente domiciliata presso il  suo  studio
in Brescia - via Sant'Orsola  n.  64,  giusta  mandato  in  calce  al
presente  atto   (le   comunicazioni   potranno   essere   effettuate
all'indirizzo            di             posta             elettronica
certificataluca.iuliano@brescia.pecavvocati.it); 
        parte ricorrente  contro  C.d.B.  (codice  fiscale  ...),  in
persona  del   sindaco   pro   tempore,   con   sede   in   ...   pec
protocollogenerale@pec.comune. 
        parte convenuta rilevato che B.C. e' dipendente del C.d.B.  -
..., in qualita' di OSA, operatore socioassistenziale - B6 (matricola
...) e svolge la sua attivita' presso il Centro  diurno  anziani  del
quartiere di ...; 
        non  si  e'  sottoposta  a  vaccinazione  contro   il   virus
SARS-COV19,  ma  avendo  contratto  la  malattia  ed  essendo   stata
dichiarata guarita in data ... aveva lavorato sino al ...  (prot.  n.
... trasmessa a mezzo raccomandata a mani - doc. 8), quando le veniva
comunicato  il  provvedimento  di  sospensione   dal   lavoro   senza
retribuzione e senza altro emolumento ai sensi dell'art. 4-ter, comma
3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28 maggio 2021,
n. 76, a seguito del mancato adempimento dell'obbligo  vaccinale  con
decorrenza ... fino al ...; 
        ha  contestato  il  fondamento  giuridico   della   normativa
emergenziale sottolineando, inoltre, che  gli  effetti  delle  misure
restrittive adottate dal governo nel periodo emergenziale cessato  in
data 31 marzo 2022) non possono protrarsi oltre il periodo di vigenza
dello stato di emergenza che, per stessa affermazione del Governo, ha
costituito  e  costituisce  il  presupposto  che  ne  giustifica   la
reiterata adozione; 
        ha eccepito l'illegittimita'  dell'obbligo  vaccinale  ed  ha
sollevato eccezioni di costituzionalita' della normativa emergenziale
sotto vari profili rilevando  altresi'  il  contrasto  delle  vigenti
disposizioni con il regolamento U.E.  n.  536/2014  e  con  la  Carta
fondamentale dell'Unione europea nonche' con  la  CEDU  e  la  natura
discriminatoria della norma che le impedisce di accedere al luogo  di
lavoro, in quanto non vaccinata; 
        ha  lamentato  che  la  mancata  previsione  dell'obbligo  di
repȇchage non troverebbe alcuna giustificazione nella  finalita'  che
la stessa norma indica e sarebbe comunque lesiva  delle  disposizioni
di cui all'art. 32 della Costituzione, nonche' degli articoli 2, 11 e
117 della Costituzione essendo evidente  il  superamento  del  limite
della dignita' umana, ovvero del rispetto della persona umana,  cosi'
come  declinato  dalla  pertinente   giurisprudenza   costituzionale,
nonche' la violazione del diritto  di  autodeterminazione  che  erano
vieppiu' rilevanti e intollerabili stante la  maggiore  durata  della
vigenza dell'obbligo nonche' l'assenza di alternative in  termini  di
«ricollocazione sicura» in mansioni prive di contatto  con  l'utenza;
in particolare ha denunciato, da  un  lato,  la  violazione  del  suo
diritto al lavoro e del diritto ad una esistenza libera  e  dignitosa
conseguente all'impossibilita'  di  lavorare  e  di  percepire  alcun
reddito per il proprio sostentamento  nonche',  dall'altro  lato,  la
ingiustificata natura discriminatoria della norma  che  impedisce  di
accedere al luogo di lavoro, in  quanto  non  vaccinata;  inoltre  ha
sostenuto la lesione del principio di buon andamento  della  pubblica
amministrazione, parimenti violato dalla  normativa  in  esame,  dato
dalla necessita' di vagliare tutte le possibilita' di  ricollocazione
del  lavoratore,  eventualmente  divenuto  inidoneo   alle   mansioni
assegnategli, prima di  allontanarlo  dal  lavoro  e  soprattutto  di
operare una sua sostituzione  con  conseguente  aumento  della  spesa
pubblica; 
        in relazione alla mancanza di retribuzione ed alla esclusione
anche dell'assegno alimentare  la  ricorrente  sostiene:  a)  che  la
sospensione dal lavoro con diritto alla conservazione del rapporto di
lavoro ma senza alcun emolumento, prevista dall'art. 4-ter,  comma  3
del decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28  maggio  2021,
n. 76, e' insensata e abnorme poiche', pur  non  essendo  qualificata
come sanzione disciplinare, comporta  conseguenze  straordinariamente
piu'  gravi  delle  sanzioni  disciplinari,   senza   alcuna   tutela
procedimentale   o   economica.   Inoltre:   e'   sproporzionata    e
irragionevole rispetto alle sanzioni che  l'ordinamento  prevede  per
altri tipi di violazione ben piu' gravi; e'  tale  da  comprimere  in
modo assoluto e senza alcuna garanzia, ed in assenza di illecito,  il
diritto alla retribuzione e al sostentamento economico necessario  ad
assicurare  al  lavoratore  ed  al  suo  nucleo  familiare  una  vita
dignitosa; b) la mancata previsione di un assegno  alimentare  per  i
lavoratori  sospesi  ai  sensi   dell'art.   4-ter,   comma   3   del
decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28  maggio  2021,  n.
76, risulta discriminatoria e viola l'art.  3  della  Costituzione  e
lede  altresi'  il  diritto  ad  una  esistenza  libera  e  dignitosa
(articoli 1, 2, 3,  4,  36  e  97  della  Costituzione),  conseguente
all'impossibilita' di percepire alcun reddito  per  il  sostentamento
proprio e dei propri famigliari; 
        B.C. ha concluso chiedendo la  reintegrazione  sul  posto  di
lavoro (anche in altre  mansioni),  a  prescindere  sia  dal  proprio
status  vaccinale,  con  il  pagamento  della   retribuzione   previo
accertamento dell'illegittimita' della sospensione disposta  dal  ...
convenuto e disapplicando d'ufficio, senza necessita' di investire la
Corte costituzionale, l'art. 4-ter,  comma  3  del  decreto-legge  n.
44/2021, convertito  dalla  legge  n.  76/2021  come  modificato  dal
decreto-legge n. 172/2021. In  via  di  urgenza  ha  chiesto  in  via
provvisoria la corresponsione della retribuzione per tutto il periodo
di sospensione o quantomeno il riconoscimento del diritto a percepire
l'assegno alimentare; 
        il C.d.B. si e' costituito in giudizio chiedendo  il  rigetto
del  ricorso  evidenziando   di   essersi   attenuto   alle   vigenti
disposizioni di legge e replicando analiticamente  alle  osservazioni
della ricorrente sostenendo che  le  richieste  di  parte  ricorrente
erano contra legem; 
 
                               Osserva 
 
    Quanto all'ammissibilita' delle  questioni  di  costituzionalita'
sollevate in sede cautelare: 
        la Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa in senso
favorevole in quanto non  risulti  esaurita  la  potestas  judicandi,
circostanza che non ricorre nel caso di specie, venendo  emanata  con
separato atto contestualmente al  presente  provvedimento,  solo  una
misura cautelare interinale,  la  quale  e'  provvisoria  e  rimarra'
efficace fino alla Camera di consiglio successiva  alla  restituzione
degli atti da parte  della  Corte  costituzionale  ed  e'  quindi  da
intendersi   condizionata   agli    esiti    dello    scrutinio    di
costituzionalita' richiesta (in  tal  senso  Corte  costituzionale  9
maggio 2013, n. 83, e Corte costituzionale 30 gennaio 2018, n. 10). 
    Questo giudice ritiene  che  le  questioni  di  costituzionalita'
segnalate dalla difesa della ricorrente siano parzialmente fondate: 
        a) l'art. 4, comma 7,  decreto-legge  n.  44/2021  convertito
dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, con le  modifiche  introdotte  dal
decreto-legge n. 172/2021 convertito, con modificazioni, dalla  legge
21 gennaio 2022, n. 3,  richiamato  dall'art.  4-ter,  comma  2,  del
citato decreto,  nella  parte  in  cui  prevede  che  l'adibizione  a
mansioni diverse senza decurtazione della retribuzione,  in  modo  da
evitare il rischio di  diffusione  del  contagio  da  SARS-COV-2,  e'
ammessa solo per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma  1
e' omessa o differita, pone dubbi di compatibilita' con gli  articoli
3 e 4  della  Costituzione  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
trattamento,  della  irragionevolezza  e  sproporzionalita'  e  della
lesione del diritto al lavoro e pertanto tale  questione  va  rimessa
alla Corte costituzionale; 
        b)  l'art.  4-ter,  comma  3  del  decreto-legge  n.  44/2021
convertito dalla legge 28 maggio 2021, n.  76,  nella  parte  in  cui
recita  «Per  il  periodo  di  sospensione,  non   sono   dovuti   la
retribuzione ne' altro compenso o  emolumento,  comunque  denominati»
pone  dubbi  di  compatibilita'  con  gli  articoli  2  e   3   della
Costituzione  e  pertanto  tale  questione  va  rimessa  alla   Corte
costituzionale. 
    Quanto alla rilevanza: 
        la ricorrente e'  dipendente  del  C.d.B.  e  tempo  pieno  e
indeterminato e, quale operatore socio  assistenziale  (OSA),  lavora
presso il Centro diurno anziani del quartiere  di  ...  e  quindi  e'
soggetto tenuto ad adempiere l'obbligo vaccinale; 
        la  ricorrente  non  ha  ritenuto  di  adempiere  all'obbligo
vaccinale e non ha allegato di versare in una delle ipotesi in cui la
vaccinazione puo' essere omessa e differita; 
        la ricorrente e' stata sospesa con provvedimento del ... e la
sua sospensione dal servizio e' prevista sino al ...; 
        la ricorrente ha contestato  la  sospensione  ed  offerto  di
rendere la prestazione anche mediante assegnazione di altre mansioni; 
        la ricorrente agisce in via di urgenza anche per ottenere  il
riconoscimento dell'assegno alimentare previsto in via generale per i
pubblici dipendenti dall'art. 82 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 3/1957 che recita «All'impiegato sospeso e' concesso un
assegno  alimentare  in  misura  non  superiore  alla   meta'   dello
stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia»; 
    Cio' premesso, ritiene questo giudice che: 
        a)  la   locuzione   utilizzata   dall'art.   4,   comma   7,
decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28  maggio  2021,  n.
76, richiamato dall'art. 4-ter, comma 2  del  citato  decreto,  nella
formulazione attuale, non consente di riconoscere alla lavoratrice il
diritto ad essere reintegrata ed  essendo  norma  speciale  non  pare
percorribile ne' la  strada  dell'interpretazione  costituzionalmente
orientata sulla base degli articoli 3 e  4  della  Costituzione,  ne'
quella della disapplicazione invocata per contrasto con la Carta  dei
diritti fondamentali della Unione europea. Infatti l'obbligo  imposto
al giudice remittente di vagliare, prima di sollevare la questione di
legittimita' costituzionale, la percorribilita' di tutte  le  ipotesi
ermeneutiche astrattamente possibili per  attribuire  alla  norma  un
significato non incompatibile con i principi costituzionali  incontra
il limite invalicabile costituito dalla formulazione letterale  della
disposizione.   Modificando   la    originaria    formulazione    del
decreto-legge n. 44/2021 convertito dalla legge 28  maggio  2021,  il
legislatore ha esplicitato la  chiara  volonta'  di  porre  la  nuova
disciplina in rapporto di discontinuita' con quella precedente  e  di
estromettere percio'  tutti  i  lavoratori  inadempienti  all'obbligo
vaccinale dall'esercizio di  tutte  le  attivita'  nell'ambito  delle
strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo  n.  502  del
1992.  Sicche'  la  sopravvenuta   modificazione   della   disciplina
legislativa  preclude  a   questo   giudicante   in   assoluto   ogni
possibilita' di una interpretazione restrittiva in contrasto  con  la
formulazione letterale. Per quanto riguarda, invece, la  possibilita'
di  disapplicazione  per  contrasto  con   la   Carta   dei   diritti
fondamentale dell'Unione europea, e' sufficiente evidenziare  che  la
materia degli obblighi vaccinali non costituisce in  se'  oggetto  di
una disciplina dell'Unione e rispetto ad  essa  ogni  Stato  mantiene
nell'ordinamento interno ampio margine di autonomia, come  si  ricava
dalla adozione di misure differenziate tra gli Stati membri in merito
alla previsione di vaccinazioni  obbligatorie.  Secondo  la  costante
giurisprudenza  della   CGUE   i   diritti   fondamentali   garantiti
nell'ordinamento giuridico  dell'Unione  si  applicano  in  tutte  le
situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuor di
esse. La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato  (da  ultimo
con sentenza n. 194 del 2018) che le disposizioni  della  Carta  sono
applicabili agli Stati membri solo quando questi agiscono nell'ambito
di  applicazione  del  diritto  dell'Unione   (Corte   costituzionale
sentenze n. 63/2016 e n. 111/2017). Cio' in quanto  l'art.  51  della
Carta  dei  diritti   fondamentali   e'   rigoroso   nel   prevederne
l'applicabilita' alle istituzioni, organi e organismi  dell'Unione  e
agli Stati «esclusivamente nell'attuazione del  diritto  dell'Unione»
(par. 1), e questi soggetti, che rispettano i diritti e  osservano  i
principi,  «ne  promuovono  l'applicazione  secondo   le   rispettive
competenze e nel rispetto delle competenze conferite  all'Unione  nei
trattati» (par. 1). Viene ribadito  il  contenuto  dell'art.  6  TUE,
affermando  che  (par.  2)  la  Carta  «non   estende   l'ambito   di
applicazione del diritto  dell'Unione  al  di  la'  delle  competenze
dell'Unione, ne' introduce  competenze  nuove  o  compiti  nuovi  per
l'Unione, ne'  modifica  le  competenze  e  i  compiti  definiti  nei
Trattati».  In  conclusione,   la   forza   espansiva   dei   diritti
fondamentali trova un limite  nel  principio  di  attribuzione  delle
competenze   che   caratterizza   la   struttura   istituzionale    o
costituzionale dell'Unione. In tal  senso,  la  forza  espansiva  dei
diritti  fondamentali  trova  dunque  un  limite  nel  principio   di
attribuzione  delle  competenze   che   caratterizza   la   struttura
istituzionale   o   costituzionale   dell'Unione,   con   conseguente
impossibilita', nel caso di specie, di ravvisare gli estremi per  una
diretta applicazione della normativa  euro-unitaria  ovvero  per  una
corrispondente disapplicazione della normativa interna. Al  contempo,
occorre osservare che l'esito del presente giudizio risulta dipendere
dalla conformita' o meno  dell'art.  4,  comma  7,  decreto-legge  n.
44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021,  n.  76,  alle  norme
della Carta fondamentale, in  quanto  il  ricorso  promosso  da  B.C.
dovrebbe essere accolto  -  solo  -  ove  tale  disposizione  venisse
ritenuta in contrasto con la  Costituzione  nella  parte  in  cui  il
legislatore ha limitato la possibilita' di essere adibiti a «mansioni
anche diverse, senza decurtazione  della  retribuzione,  in  modo  da
evitare  il  rischio  di  diffusione  del  contagio  da  SARS-CoV-2»,
esclusivamente ai soggetti esentati dall'obbligo vaccinale  ovvero  a
coloro che hanno ottenuto il differimento per il  periodo  di  durata
dello  stesso,  mentre  non  e'  stata  prevista  nei  confronti  dei
dipendenti che si siano deliberatamente astenuti dalla  vaccinazione.
D'altro canto, la domanda di reintegrazione articolata  in  relazione
al  profilo  dell'obbligo   di   repêchage   troverebbe   nel   resto
accoglimento, in sede cautelare, in  ragione  della  sussistenza  dei
presupposti di fumus boni iuris e di periculum in mora. Da  un  lato,
infatti, il datore di lavoro non ha assolto all'onere  di  dimostrare
l'impossibilita' di adibirla a mansioni differenti e atte ad  evitare
il rischio di diffusione del contagio -  pur  essendo  consolidati  i
principi di diritto secondo cui «in materia di repêchage non sussiste
alcun  onere  di  collaborazione  da  parte  del  lavoratore,  questo
gravando  esclusivamente  sul  datore  di  lavoro»  e   secondo   cui
«l'impossibilita' di reimpiego del lavoratore  in  mansioni  diverse,
elemento che, inespresso a livello normativo,  trova  giustificazione
sia  nella  tutela  costituzionale  del  lavoro  che  nel   carattere
necessariamente effettivo e non pretestuoso della  scelta  datoriale,
che non puo' essere condizionata da finalita' espulsive  legate  alla
persona del lavoratore. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza
di questi presupposti e' a carico del  datore  di  lavoro,  che  puo'
assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che
sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili»
(Cassazione, sez. lav., sentenza marzo 2021, n. 6084; ved.  altresi',
ex multis, Cassazione, sez. VI, ordinanza 18 gennaio 2022, n.  1386).
Dall'altro lato, poi, e' rimasta del tutto incontroversa, ai sensi  e
per gli effetti di cui all'art. 115 del codice di  procedura  civile,
la  circostanza  secondo  cui  la  retribuzione  erogata  dal  C.d.B.
costituirebbe l'unica fonte di reddito per la ricorrente, cosi'  che,
nel caso di specie, appare sussistente anche  un  pregiudizio  grave,
imminente  ed  irreparabile   in   relazione   alla   perdita   della
possibilita' per la lavoratrice di far fronte alle esigenze  primarie
della vita. Alla luce di tutto cio', si deve dunque ritenere  che  il
presente procedimento non  possa  essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita'  costituzionale  di
seguito illustrata e relativa all'art. 4, comma 7  del  decreto-legge
n. 44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n.  76,  per  come
modificato dall'art. 1, comma 1,  lettera  b)  del  decreto-legge  n.
172/2021, convertito dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3. 
    Se l'art. 4, comma 7  del  decreto-legge  n.  44/2021  convertito
dalla legge 28 maggio 2021, n. 76,  nella  parte  in  cui  limita  ai
soggetti  esentati  dall'obbligo  vaccinale  o  a  coloro  che  hanno
ottenuto il differimento per il periodo di durata  dello  stesso,  la
possibilita' di essere  adibiti  a  «mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2.» venisse ritenuta non conforme
a Costituzione la domanda di reintegrazione della ricorrente potrebbe
trovare accoglimento gia' in sede cautelare, stante il rinvio operato
dall'art. 4-ter, comma 2, del citato decreto, e da cio'  consegue  la
rilevanza della questione sollevata; 
        b)  l'art.  4-ter,  comma  3  del  decreto-legge  n.  44/2021
convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, appare inequivoco nello
stabilire che per il periodo di sospensione disposta per  il  mancato
assolvimento dell'obbligo vaccinale «non sono dovuti la  retribuzione
ne' altro compenso od emolumento comunque denominato»; 
        la locuzione  «ne'  altro  compenso  od  emolumento  comunque
denominato» appare insuscettibile di un interpretazione che  consenta
di riconoscere alla ricorrente la retribuzione (in assenza di  contro
prestazione) o l'assegno alimentare che e',  appunto,  un  emolumento
erogato in assenza di prestazione lavorativa; 
        l'art. 4-ter, comma 3, del citato decreto e' una disposizione
di carattere speciale e  di  conseguenza  non  pare  percorribile  la
strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata  sulla  base
di parametri invocati dalla parte ricorrente e cioe' gli articoli 2 e
3, 4,  36  e  97  della  Costituzione;  non  pare  neppure  possibile
riconoscere il  diritto  all'assegno  alimentare  applicando  in  via
analogica l'art. 82,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
3/1957,   che   riconosce   al   dipendente   sospeso   cautelarmente
«un'indennita' pari al 50% dello  stipendio  tabellare,  nonche'  gli
assegni  del  nucleo  familiare  e  la  retribuzione  individuale  di
anzianita', ove spettanti» essendo tali  disposizioni  specificamente
riferite alle sospensioni cautelari derivanti  da  violazioni  aventi
rilevanza disciplinare e penale. 
    Solamente ove l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n.  44/2021
convertito dalla legge 28 maggio 2021, n.  76,  nella  parte  in  cui
recita  «Per  il  periodo  di  sospensione,  non   sono   dovuti   la
retribuzione ne' altro compenso o  emolumento,  comunque  denominati»
venisse ritenuta non conforme a Costituzione la  domanda  di  assegno
alimentare potrebbe trovare accoglimento gia' in sede cautelare e  da
cio' consegue la rilevanza della questione sollevata. 
 
               Quanto alla non manifesta infondatezza 
 
        a) al personale delle strutture di  cui  all'art.  8-ter  del
decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502,  e'  stato  esteso
l'obbligo  vaccinale  in  origine  previsto  per  gli  esercenti   le
professioni sanitarie  e  per  il  personale  sanitario  testualmente
finalizzato «alla tutela  della  salute  pubblica»  e  per  mantenere
«adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione  delle  prestazioni
di cura e assistenza» ed, a prescindere  da  ogni  considerazione  in
merito alla sua idoneita' a raggiungere lo scopo (circostanza che  la
parte ricorrente contesta), non si puo' che rilevare che il  pericolo
di diffusione del virus, sia uguale in capo  a  qualsiasi  lavoratore
non vaccinato indipendentemente dal fatto che la omessa  vaccinazione
sia dovuta ad una scelta volontaria oppure ad un  accertato  pericolo
per la sua salute. A parita' di condizione (uguaglianza del  pericolo
di contagio per  gli  altri  dipendenti,  per  gli  ospiti),  non  si
comprende allora  per  quale  motivo  l'obbligo  di  repêchage  debba
sussistere solo a favore dei secondi (soggetti esentati o per i quali
la vaccinazione e' stata differita) e non anche a favore  dei  primi.
Ne' potrebbe sostenersi che,  in  siffatti  casi,  la  differenza  di
trattamento sia giustificata  da  esigenze  aziendali  essendo  stato
previsto il repêchage per gli esentati o differiti senza  limitazioni
ed  essendo  stato  altrettanto  totalmente  escluso  per  gli  altri
soggetti non vaccinati. 
    Pertanto  si  dubita  che  il  comma  7  del   citato   articolo,
nell'attuale formulazione, sia contrario agli articoli 3  e  4  della
Costituzione  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  l'obbligo  di
repêchage sussista anche per coloro che scelgono di  non  vaccinarsi.
Cio' in primo luogo per violazione del principio  di  uguaglianza  ex
art. 3 della Costituzione e per irragionevolezza in quanto il diverso
trattamento previsto per coloro che hanno deciso di non vaccinarsi  e
coloro che non possono vaccinarsi (in quanto esenti o differiti)  non
appare sostenuto da alcuna giustificazione. Inoltre,  nel  precludere
al personale non vaccinato  per  libera  scelta  la  possibilita'  di
lavorare - anziche' applicare altre soluzioni quali,  solo  per  fare
degli esempi, il controllo tramite test di rilevazione  del  virus  e
l'assegnazione a mansioni diverse, ove possibili  -  lo  Stato  viene
meno al compito di rendere effettivo il diritto al lavoro (ex art.  4
della Costituzione) ed introduce una misura che si espone  al  dubbio
di  rivelarsi  eccessivamente  sbilanciata   e   sproporzionata,   ad
eccessivo detrimento  del  valore  della  dignita'  umana  stante  la
compressione assoluta del diritto al  lavoro  destinata  a  permanere
sino al 31 dicembre 2022, anche  oltre  il  termine  dello  stato  di
emergenza e solo per alcuni lavoratori. Ne'  la  temporaneita'  della
misura interdittiva adottata dal legislatore e' idonea di per  se'  a
giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti  atteso
che  la  stessa  e'  in  grado   di   produrre   effetti   gravemente
pregiudizievoli per siffatta categoria di lavoratori, privati di ogni
possibilita' di svolgere attivita'  lavorativa,  vieppiu'  alla  luce
della disposta  proroga.  Si  rammenta  infatti  che  secondo  quanto
disposto dall'art. 60, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
3/1957 «L'impiegato non puo' esercitare  il  commercio,  l'industria,
ne' alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati
o accettare cariche in societa' costituite a fine  di  lucro,  tranne
che si tratti di cariche in societa' o enti per le quali la nomina e'
riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione  del
Ministro competente» 
    A cio' si aggiunga  che  l'originaria  formulazione  della  norma
prevedeva la possibilita' di attribuire al dipendente non  vaccinato,
seppure  solo  ove   possibile,   mansioni   diverse.   Quanto   alla
compatibilita'  dell'intervenuta  modifica  che   ha   escluso   tale
possibilita', con il principio della ragionevolezza,  corollario  del
principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma secondo
dalla   Costituzione,   si   dubita   altresi'   della   razionalita'
dell'estensione  del  divieto   di   svolgere   qualsiasi   attivita'
lavorativa - incluse quelle  che  non  comportano  alcun  rischio  di
diffusione del contagio da SARS COV-2 - in relazione ai fini  primari
della tutela della salute pubblica e del  mantenimento  «di  adeguate
condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di  cura  e
assistenza». Questo giudice non dubita che il legislatore  nella  sua
discrezionalita' possa aggravare gli effetti dell'accertamento  della
violazione  di  un  obbligo,  ma  deve  comunque  individuare   degli
specifici  presupposti  che  siano  idonei   a   giustificare   detto
aggravamento. Tali presupposti non risultano individuati  atteso  che
rispetto alla  disciplina  previgente  -  che  peraltro  era  rivolta
esclusivamente  agli  esercenti  le  professioni  sanitarie  ed  agli
operatori sanitari e non a tutto il personale delle strutture di  cui
all'art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 -  lo
scopo primario che la norma intende  perseguire  ossia  quello  della
tutela  della  salute  pubblica  in   una   situazione   emergenziale
epidemiologia mediate la garanzia dell'accesso  alle  prestazioni  di
cura in genere in condizioni di sicurezza e' rimasto  sostanzialmente
immutato. Cosi' come sono immutate le esigenze connesse  alla  tutela
della sicurezza negli ambienti di lavoro. Tale modifica con la  quale
si sospende dal lavoro e dall'intera retribuzione il  lavoratore  che
non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione  alternativa
o intermedia, appare quindi  del  tutto  irragionevole  e  certamente
sproporzionata allo scopo che la normativa si prefigge; 
        b) la ricorrente agisce anche per ottenere il  riconoscimento
dell'assegno alimentare previsto  in  via  generale  per  i  pubblici
dipendenti dall'art. 82 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 3/1957 che recita «All'impiegato sospeso e'  concesso  un  assegno
alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio,  oltre
gli assegni per carichi di famiglia»; 
        l'art. 4-ter, comma 3 del decreto-legge n. 44/2021 convertito
dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, sul punto appare inequivoco  nello
stabilire che per il periodo di sospensione disposta per  il  mancato
assolvimento 
        dell'obbligo vaccinale «non sono dovuti la  retribuzione  ne'
altro compenso od emolumento comunque denominato»; 
        l'assegno alimentare (un emolumento  erogato  in  assenza  di
prestazione lavorativa) ha natura pacificamente  assistenziale  (cfr.
Consiglio di Stato sez. III - 15 giugno 2015, n. 2939 Tar Lombardia -
sez.  I  Milano,  16  maggio  2002,  n.  2070)  essendo  generalmente
riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi
disciplinari  o  cautelari  ed  e'  stata  considerata  dalla   Corte
costituzionale  misura  ragionevole  per  sopperire   alle   esigenze
alimentari del lavoratore sospeso nei casi in cui venga a mancare  la
corrispettivita' fra le prestazioni delle parti. Nella  ordinanza  n.
258/1988 si afferma: «appare ragionevole l'attribuzione all'impiegato
sospeso cautelarmene di un assegno alimentare in misura non superiore
alla meta' dello  stipendio  tenuto  conio  della  sospensione  dalla
prestazione   lavorativa   disposta   cautelarmente    nell'interesse
pubblico»  e  considerando  che  «il  precetto  costituzionale  posto
dall'art. 36 della  Costituzione,  ha  riferimento  alla  tutela  del
lavoro e non anche alle particolari situazioni nelle  quali  venga  a
mancare l'applicazione  del  principio  di  corrispettivita'  fra  le
prestazioni delle parti»; 
        l'art. 2 della Costituzione  nel  prevedere  una  particolare
tutela dell'individuo sia come singolo sia nelle  formazioni  sociali
ove si svolge la sua personalita' (tra  cui  rientrano  i  luoghi  di
lavoro) non  sembra  permettere  l'adozione  di  misure  che  possano
arrivare sino al punto di ledere la dignita' della persona come  puo'
avvenire quando alla persona sia preclusa ogni forma di sostentamento
per  far  fronte  ai  bisogni  primari   della   vita   (cfr.   Corte
costituzionale 20 luglio 2021, n.  137).  Come  noto  il  diritto  al
lavoro costituisce una delle principali prerogative dell'individuo su
cui si radica l'ordinamento italiano che trova protezione nell'ambito
dei principio fondamentali della Carta  costituzionale  e  che  viene
tutelata non solo in quanto strumento attraverso  cui  ciascuno  puo'
sviluppare  la  propria  personalita'  potendo  cosi'   concorre   al
progresso materiale e spirituale della societa', ma  innanzitutto  in
quanto costituisce  il  mezzo  per  assicurare  alla  persona  ed  al
rispettivo nucleo famigliare attraverso  la  giusta  retribuzione  il
diritto fondamentale di vivere un esistenza libera  e  dignitosa.  E'
questo che si verifica nel caso in esame per tutto il personale delle
strutture di cui all'art. 8-ter del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 502, che non abbia ritenuto di vaccinarsi essendo stata loro
sottratta  ogni  possibilita'  di  esercitare  la  propria  attivita'
lavorativa costituendo la vaccinazione «requisito essenziale  per  lo
svolgimento delle attivita' lavorative dei  soggetti  obbligati»  (ex
art. 4-ter, comma 2 del decreto-legge  n.  44/2021  convertito  dalla
legge 28 maggio 2021, n. 76) e non potendo accedere a quegli istituti
che tutelano i lavoratori in caso di perdita  dell'occupazione  quali
l'indennita' di  disoccupazione  (conservando  il  posto  di  lavoro)
essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai dipendenti pubblici
a  tempo  indeterminato,  ne'  possono  fruire,  in  quanto  in  eta'
lavorativa, di quelle provvidenze che presuppongono  una  determinata
anzianita' anagrafica. In tal modo siffatti lavoratori  perdono  ogni
possibilita' di far fronte alle  esigenze  basilari  della  vita  non
potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un
periodo temporalmente rilevante (ad oggi e, solo per loro,  prorogato
fino al 31 dicembre 2022). Ne' tale lesione appare giustificata dalla
finalita' denunciata «prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui
all'art.  3-ter,  decreto-legge  n.  44/2021»  nell'ambito   di   una
situazione emergenziale, in quanto le conseguenze  che  esso  implica
nella sfera del  dipendente  non  vaccinato  (via  via  irrigidite  a
seguito  delle  modifiche  apportate  dall'originaria   formulazione)
appaiono  eccessivamente  sproporzionate  e  sbilanciate  nell'ottica
della necessaria considerazione  degli  altri  valori  costituzionali
coinvolti tra cui la dignita' della persona umana; la disposizione in
esame si pone in contrasto anche con l'art. 3 della  Costituzione  in
quanto,  a  fronte  di  una  condotta  non  integrante  illecito  ne'
disciplinare ne' penale e che riguarda una fattispecie introdotta  in
una fase emergenziale ed in un contesto del tutto eccezionale, nega a
siffatto personale persino la  corresponsione  di  quelle  indennita'
come l'assegno alimentare generalmente riconosciute  dall'ordinamento
per sopperire alle esigenze alimentari del lavoratore  sospeso  anche
laddove  quest'ultimo  sia  coinvolto  in   procedimenti   penali   e
disciplinari per fatti di oggettiva gravita' posto  che  cio'  genera
una  irragionevole  disparita'  di  trattamento  nei  confronti   dei
soggetti  che  hanno  posto  in  essere  condotte  che,  proprio  per
previsione legislativa, sono esenti da alcun tipo di rilievo.